LE RICETTE DI CECILIA – 2) PANE ARABO (e un Tango)

LE RICETTE DI CECILIA

PANE ARABO

Il pane semplice come le cose vere, di Um Fathma.
Concentrata sulla zuppiera con farina per pane semintegrale, acqua, un pizzico di sale e un poco di pasta tenuta avvolta in uno straccio (“pasta madre”), la vecchia Fathma impasta con gesti vigorosi.
Seduta sotto la pergola dell’uva e delle zucche. Si copre la fronte con le mani e rimane immobile così. Nella casa bassa del Campo, dipinta di un tenue colore allegro.
Poi trasferisce tutto sul tavolo dopo essersi rimboccate le maniche del vestito.
Dalla cassapanca ha preso quello di velluto blù, con la pettorina ricamata fino alla vita con le sue stesse mani, le strisce dello stesso colore ricamate lungo i fianchi e le maniche larghe dell’abito. Ha stretto la cintura di pelle in vita ed appoggiato sul capo il velo bianco delle contadine di Betlemme.
Fathma impasta coi pugni, spingendo verso l’alto formando così una sorta di rettangolo di pasta che riarrotola verso l’interno. Così per diverse volte, finchè l’impasto non è bello amalgamato e compatto.
Tornano da scuola le bambine. Una famiglia di donne alte e belle. Intisaar va alla porta ad aspettare l’arrivo della nipote più grande di Fathma. Vuole vederla per prima la sua amica del nord.
Prepara poi delle palline e le arrotola sul tavolo. Dopo cinque minuti riparte dalla prima, appiattendola sul palmo della mano con una pressione decisa.
Il vecchio Saker piange perché la nipote parla un arabo un po’ rudimentale. Guardando quella figlia di suo figlio i suoi occhi si sciolgono, ne riconosce lo sguardo chiaro e profondo di bambina sorpresa, lì, a mangiare i fichi del cortile.
Le palline di pasta rimangono a lievitare sotto un canovaccio e una coperta, per circa un’ora.
I nonni, i miei nonni. Dieci figli, cinquantaquattro nipoti. I miei nonni e il profumo del pane che arriva dall’ingresso della casa, dove Fathma accovacciata toglie e mette i pani bassi e coloriti sul tavolo.
Fathma fa scaldare la pentola per il pane e cuoce la pasta appiattita rigirandola due o tre volte finchè ha raggiunto una coloritura omogenea.
Ho mangiato il pane caldo inzuppato nell’olio e nello za’atar, nonna, mentre tu mi guardi e ridi. Il profumo di pane ha mescolato le nostre vite, finalmente.

UN TANGO
Hai stretto le tue braccia intorno a me, prima ancora di baciarmi.
Istintivamente ho corrisposto mettendomi nella postura del tango.
E mentre appoggiavo la mano sinistra sul tuo bicipite, afferravo la tua sinistra con la mia destra, appoggiavo il mio petto al tuo lasciandomi andare, ho sentito che cosa è il Tango.
Esattamente quell’appoggiare tutto il mio peso al tuo petto, affidandovi il mio, quell’accostare la mia guancia alla tua. Quel lungo attimo in cui ho sentito la tua sostanza, la tua forma, perfettamente adattata alla mia. Anche se siamo rimasti fermi è stato Tango.
Nella tua cucina, perché in cucina succedono sempre le cose importanti, tra me e te.

LE RICETTE DI CECILIA – 1) HUMMUS (e una lezione di Tango)

LE RICETTE DI CECILIA
HUMMUS

Questo semplice purè di ceci e salsa di sesamo ha come ingrediente essenziale una punta di nostalgia.
Trecento grammi di ceci cotti e ben scolati
La sera che ero appena tornata a Gerusalemme tu volevi mangiare l’hummus, e l’abbiamo trovato in un posto un po’ buio al Muristan, mentre un bambino saltava sulle luci incastrate nel pavimento della strada e ridendo mi dicevi che l’avevi fatto anche tu, la sera prima.
Ripassare i ceci in padella a fuoco vivace con uno spicchio d’aglio abbondante Cumino, Curry sale e olio
Poi l’abbiamo mangiato, senza falafel ma accanto alla pentola dei falafel, sul canto della via Dolorosa. Non era buono come quello che faccio io e in cinque minuti si puzzava di fritto da non poterci star vicino. Il giorno dopo tu hai rimesso la stessa maglietta e io tuffavo la testa nei libri un po’ per sentirne l’odore di polvere un po’ per non ridere, apparentemente senza senso.
Una volta insaporiti, schiacciare i ceci in un piatto con una forchetta amalgamando col sughetto di olio e spezie, evitando lo spicchio d’aglio
Tu riuscivi a mettere in disordine la mia stanza, con le quattro cose che portavi con te, il sorriso disarmate e la tua mente lucida. Con la tristezza liquida dei tuoi occhi. Con la tua goffa, ingenua eleganza. Entrava la luce e l’aria fine di Gerusalemme con te, nella mia stanza.
Aggiungere la salsa di sesamo, che si chiama Tahina, poco più di un cucchiaio, e il succo di un limone grande e ben maturo
Mi offrivi il caffè, non vedevo l’ora del tuo caffè e di accompagnarti a fumare sulla terrazza. Lì, dove tutto il mondo è così vicino; anche un enorme pulcino di pavone sulla terrazza di fronte. La sera passavo sulla terrazza accanto e pensavo che il pane di Ramadan col sesamo non arrivava mai a casa, troppo buono da mangiare per strada.
Mescolare accuratamente con sale e olio quanto basta, prima di passare un attimo al frullatore
“Ti piace l’Hummus?” una domanda rarefatta adesso qui, seduto nella tua cucina.
Non so quanto sia stata dura con te Gerusalemme, adesso che mi dai le spalle mentre prepari l’hummus e mi sembri ancora quella che la sera andava via con malavoglia, quasi ti spiacesse attraversare la città da sola. So solo che dopo l’hummus e il caffè avrei voluto stringere le tue mani forti e lasciare che tu ti appoggiassi a me, se soltanto fossi stato capace di un passo di tango per portarti via.
Disporre la crema in un piatto dai bordi rialzati, spolverare di paprica, decorare con qualche cece e prezzemolo, aggiungere un filo d’olio e servire.
Scendo di corsa le scale in pietra e quell’odore di naftalina prima dell’ingresso ognoi volta mi ferma. Quell’odore buono, rassicurante, che mi ricorda Michele e la mia nonna, che mi fa venire voglia di sedermi sull’ultimo scalino ad aspettare un abbraccio. Fuori c’è Gerusalemme c’è Ramadan e tutti gli odori variabilmente si mescolano. E attraverso la città pensierosa mentre le parole si confondono dentro di me.

UNA LEZIONE DI TANGO
Ti ho detto che un giorno ti avrei insegnato a ballare il Tango; avrei voluto farti alzare, costringerti a sostenermi nella “posizione aperta” da studio, costringerti a sentire il mio peso sul tuo cuore, costringerti a guidarmi all’indietro.
Ma avrei dovuto spostare libri e sedie ma soprattutto costringerti.
O, meglio, convincerti ad alzarti, a afferrarmi le spalle e a guidarmi passo dopo passo. Sarebbe stato imbarazzante.
Come esige il Tango ho camminato con te ascoltandoti senza parole, affidandomi. Come esige il Tango ho mosso i passi con leggerezza per seguire i tuoi.
Credo che ogni momento sia stato Tango solitudine nostalgia finitezza, con te.

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Per l’ascolto: Astor Piazzolla “Vuelvo al Sur”