LE RICETTE DI CECILIA
PANE ARABO
Il pane semplice come le cose vere, di Um Fathma.
Concentrata sulla zuppiera con farina per pane semintegrale, acqua, un pizzico di sale e un poco di pasta tenuta avvolta in uno straccio (“pasta madre”), la vecchia Fathma impasta con gesti vigorosi.
Seduta sotto la pergola dell’uva e delle zucche. Si copre la fronte con le mani e rimane immobile così. Nella casa bassa del Campo, dipinta di un tenue colore allegro.
Poi trasferisce tutto sul tavolo dopo essersi rimboccate le maniche del vestito.
Dalla cassapanca ha preso quello di velluto blù, con la pettorina ricamata fino alla vita con le sue stesse mani, le strisce dello stesso colore ricamate lungo i fianchi e le maniche larghe dell’abito. Ha stretto la cintura di pelle in vita ed appoggiato sul capo il velo bianco delle contadine di Betlemme.
Fathma impasta coi pugni, spingendo verso l’alto formando così una sorta di rettangolo di pasta che riarrotola verso l’interno. Così per diverse volte, finchè l’impasto non è bello amalgamato e compatto.
Tornano da scuola le bambine. Una famiglia di donne alte e belle. Intisaar va alla porta ad aspettare l’arrivo della nipote più grande di Fathma. Vuole vederla per prima la sua amica del nord.
Prepara poi delle palline e le arrotola sul tavolo. Dopo cinque minuti riparte dalla prima, appiattendola sul palmo della mano con una pressione decisa.
Il vecchio Saker piange perché la nipote parla un arabo un po’ rudimentale. Guardando quella figlia di suo figlio i suoi occhi si sciolgono, ne riconosce lo sguardo chiaro e profondo di bambina sorpresa, lì, a mangiare i fichi del cortile.
Le palline di pasta rimangono a lievitare sotto un canovaccio e una coperta, per circa un’ora.
I nonni, i miei nonni. Dieci figli, cinquantaquattro nipoti. I miei nonni e il profumo del pane che arriva dall’ingresso della casa, dove Fathma accovacciata toglie e mette i pani bassi e coloriti sul tavolo.
Fathma fa scaldare la pentola per il pane e cuoce la pasta appiattita rigirandola due o tre volte finchè ha raggiunto una coloritura omogenea.
Ho mangiato il pane caldo inzuppato nell’olio e nello za’atar, nonna, mentre tu mi guardi e ridi. Il profumo di pane ha mescolato le nostre vite, finalmente.
UN TANGO
Hai stretto le tue braccia intorno a me, prima ancora di baciarmi.
Istintivamente ho corrisposto mettendomi nella postura del tango.
E mentre appoggiavo la mano sinistra sul tuo bicipite, afferravo la tua sinistra con la mia destra, appoggiavo il mio petto al tuo lasciandomi andare, ho sentito che cosa è il Tango.
Esattamente quell’appoggiare tutto il mio peso al tuo petto, affidandovi il mio, quell’accostare la mia guancia alla tua. Quel lungo attimo in cui ho sentito la tua sostanza, la tua forma, perfettamente adattata alla mia. Anche se siamo rimasti fermi è stato Tango.
Nella tua cucina, perché in cucina succedono sempre le cose importanti, tra me e te.
