Scendevamo lentamente verso il Mar Morto, curva dopo curva, con i fronti degli wadi scavati dalle acque che mostravano movimenti tettonici paralizzati da migliaia di anni.

Lei professore guardava dal finestrino della macchina e io le facevo domande che mi si affollavano nella mente.

Dal giorno in cui eravamo partiti ero passata dal rispettoso silenzio al mi scusi, poi al le posso fare una domanda.

Ora quasi giunti al termine del nostro breve viaggio chiedevo liberamente e lei sorrideva socchiudendo gli occhi.

“Oggi chiudiamo il giro del Mar Morto professore: queste faglie sono identiche a quelle che abbiamo visto salendo al Monte Nebo, vero?”

“si … “

E poi mi spiegò tante cose, un po’ le sapevo, però no, non sapevo niente e ascoltavo incantata.

Ancora mi suona nelle orecchie il suo più grande complimento: “questa almeno mi dà retta”. E detto da lui suonava come il migliore dei complimenti possibili.

Non so dire se era veramente burbero, me lo ricordo in camicia da notte a Nazareth su tutte le furie, ma con quel guizzo di fantasia negli occhi che si faceva perdonare tutto.

Del resto a Nazareth eravamo perennemente in ritardo e nessuno pareva dargli retta.

 

La giusta misura delle cose.

Se fosse stata capita la giusta misura che scaturiva dai suoi appunti scritti con matita 5B.

 

Come il suo loden blu attraversava lontano la Santissima Annunziata a Firenze, quando ormai disperavo di tutto.

Come quel fragile tramonto di Dicembre sulla strada che da Gerusalemme conduce al Giordano.

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25 gennaio 2016

Alessandra Angeloni

 

 

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