LE RICETTE DI CECILIA
HUMMUS
Questo semplice purè di ceci e salsa di sesamo ha come ingrediente essenziale una punta di nostalgia.
Trecento grammi di ceci cotti e ben scolati
La sera che ero appena tornata a Gerusalemme tu volevi mangiare l’hummus, e l’abbiamo trovato in un posto un po’ buio al Muristan, mentre un bambino saltava sulle luci incastrate nel pavimento della strada e ridendo mi dicevi che l’avevi fatto anche tu, la sera prima.
Ripassare i ceci in padella a fuoco vivace con uno spicchio d’aglio abbondante Cumino, Curry sale e olio
Poi l’abbiamo mangiato, senza falafel ma accanto alla pentola dei falafel, sul canto della via Dolorosa. Non era buono come quello che faccio io e in cinque minuti si puzzava di fritto da non poterci star vicino. Il giorno dopo tu hai rimesso la stessa maglietta e io tuffavo la testa nei libri un po’ per sentirne l’odore di polvere un po’ per non ridere, apparentemente senza senso.
Una volta insaporiti, schiacciare i ceci in un piatto con una forchetta amalgamando col sughetto di olio e spezie, evitando lo spicchio d’aglio
Tu riuscivi a mettere in disordine la mia stanza, con le quattro cose che portavi con te, il sorriso disarmate e la tua mente lucida. Con la tristezza liquida dei tuoi occhi. Con la tua goffa, ingenua eleganza. Entrava la luce e l’aria fine di Gerusalemme con te, nella mia stanza.
Aggiungere la salsa di sesamo, che si chiama Tahina, poco più di un cucchiaio, e il succo di un limone grande e ben maturo
Mi offrivi il caffè, non vedevo l’ora del tuo caffè e di accompagnarti a fumare sulla terrazza. Lì, dove tutto il mondo è così vicino; anche un enorme pulcino di pavone sulla terrazza di fronte. La sera passavo sulla terrazza accanto e pensavo che il pane di Ramadan col sesamo non arrivava mai a casa, troppo buono da mangiare per strada.
Mescolare accuratamente con sale e olio quanto basta, prima di passare un attimo al frullatore
“Ti piace l’Hummus?” una domanda rarefatta adesso qui, seduto nella tua cucina.
Non so quanto sia stata dura con te Gerusalemme, adesso che mi dai le spalle mentre prepari l’hummus e mi sembri ancora quella che la sera andava via con malavoglia, quasi ti spiacesse attraversare la città da sola. So solo che dopo l’hummus e il caffè avrei voluto stringere le tue mani forti e lasciare che tu ti appoggiassi a me, se soltanto fossi stato capace di un passo di tango per portarti via.
Disporre la crema in un piatto dai bordi rialzati, spolverare di paprica, decorare con qualche cece e prezzemolo, aggiungere un filo d’olio e servire.
Scendo di corsa le scale in pietra e quell’odore di naftalina prima dell’ingresso ognoi volta mi ferma. Quell’odore buono, rassicurante, che mi ricorda Michele e la mia nonna, che mi fa venire voglia di sedermi sull’ultimo scalino ad aspettare un abbraccio. Fuori c’è Gerusalemme c’è Ramadan e tutti gli odori variabilmente si mescolano. E attraverso la città pensierosa mentre le parole si confondono dentro di me.
UNA LEZIONE DI TANGO
Ti ho detto che un giorno ti avrei insegnato a ballare il Tango; avrei voluto farti alzare, costringerti a sostenermi nella “posizione aperta” da studio, costringerti a sentire il mio peso sul tuo cuore, costringerti a guidarmi all’indietro.
Ma avrei dovuto spostare libri e sedie ma soprattutto costringerti.
O, meglio, convincerti ad alzarti, a afferrarmi le spalle e a guidarmi passo dopo passo. Sarebbe stato imbarazzante.
Come esige il Tango ho camminato con te ascoltandoti senza parole, affidandomi. Come esige il Tango ho mosso i passi con leggerezza per seguire i tuoi.
Credo che ogni momento sia stato Tango solitudine nostalgia finitezza, con te.

Per l’ascolto: Astor Piazzolla “Vuelvo al Sur”